I beni confiscati alla mafia valgono l’1,8 per cento del Pil italiano. Il “tesoro” sequestrato ai boss ammonta a 32 miliardi di euro. Un importo quasi identico a quello a cui il governo italiano potrebbe decidere di accedere attivando le linee di credito del Mes, uno degli strumenti messi a disposizione dall’Ue per risolvere la crisi economica provocata dalla pandemia, che però continua a far discutere, provocando tensioni nella maggioranza e proteste da parte dell’opposizione.
Tuttavia, sottolineava a fine aprile uno studio dell’Osservatorio permanente sulla sicurezza dell’Eurispes, finora “la gestione patrimoniale di questi beni ha prodotto nel complesso sinora solo 57 milioni 884 mila euro”. Ville di lusso, appartamenti, denaro (2 miliari e 85 milioni) e aziende che, rivela un’inchiesta firmata da Milena Gabanelli sul Corriere, nel 93 per cento dei casi vengono fatte fallire. Passando ai beni immobili, sempre secondo il quotidiano di via Solferino, almeno il 34 per cento risulta “inutilizzato”. Da qui l’idea lanciata dal presidente dello stesso ente di ricerca, Gian Maria Fara, di costituire una holding articolata per settori di competenza, per valorizzare questo immenso capitale e metterlo a disposizione della collettività.
“L’enorme patrimonio accumulato con le confische dei beni della criminalità organizzata e delle mafie deve essere messo a frutto e gestito con criteri manageriali, come si farebbe con un’azienda o un insieme di aziende, facenti capo ad un unico soggetto finanziario – aveva detto Fara – insomma, una vera e propria holding, organizzata e gestita in stretta collaborazione con l’ANBSC e con la vigilanza del Sistema giudiziario antimafia”. Un gruppo, quello che potrebbe costituirsi per gestire e far fruttare il patrimonio confiscato ai boss, che “sarebbe in assoluto il soggetto con la più alta concentrazione di capitale in Italia”, si legge nel report dell’Osservatorio. Per fare un esempio pratico, il “capitale” a disposizione sarebbe pari a quello di colossi come Eni, Enel, Assicurazioni Generali, Intesa San Paolo, Poste Italiane e Leonardo, messi insieme.
Insomma, per il direttore dell’Eurispes, i beni confiscati alla mafia potrebbero servire per creare un nuovo Istituto per la Ricostruzione Industriale al fine di rilanciare l’economia italiana, messa in ginocchio dal coronavirus. “Non è forse giunto il momento di interrogarsi sulla possibilità di una scelta politica di gestione finalistica di un simile patrimonio considerato nel suo complesso, che tenda a contribuire alla stessa politica economica del Paese?”, si domandano dall’Osservatorio dello stesso ente.
Un ragionamento condiviso da diversi esponenti del centrodestra. Il questore della Camera Edmondo Cirielli, di Fratelli d’Italia, aveva espresso la volontà di elaborare una proposta concreta e presentarla in Parlamento. Anche il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, aveva auspicato “in un momento di crisi così pesante, una valorizzazione di queste risorse” che “potrebbe generare ulteriori ricchezze da destinare, ad esempio, alle forze di polizia”.
Nel giorno in cui si riuniscono i ministri delle Finanze dell’Unione europea per discutere le misure di risposta alla crisi, a rilanciare l’idea di Fara è la Lega. “Invece di promettere soldi che non arrivano o chiedere prestiti senza conoscerne le condizioni, il governo inizi ad agire utilizzando le risorse che ha già a disposizione”, incalza Vincenzo Sofo, deputato europeo del partito di Matteo Salvini. “Stiamo parlando – ci spiega l’europarlamentare – di quasi il 2 per cento del Pil del nostro Pese, una cifra pari o quasi a quella che ci offrirebbe l’UE attraverso il Mes, con la differenza che nel caso di beni confiscati non sono prestiti, non dobbiamo pagare gli interessi e sono disponibili da subito”.
“Non parliamo solo di appartamenti, terreni o mezzi di trasporto ma anche di aziende, titoli finanziari e depositi bancari – aggiunge – che potrebbero fare da stimolo economico ed occupazionale soprattutto alle regioni del Sud, considerando che la maggior parte delle aziende sequestrate sono in Sicilia, Campania e Calabria”. L’appello, quindi, è ai “ministri Bonafede, Gualtieri e Patuanelli affinché potenzino l’ANBSC e la colleghino, come ha proposto anche il presidente di Eurispes, alla creazione di un istituto che investa sul territorio e faccia fruttare questo enorme patrimonio per nulla valorizzato”.
Per il leghista mettere a frutto il patrimonio sottratto alle cosche potrebbe essere un messaggio forte, tanto più dopo le scarcerazioni dei “padrini” che hanno infuocato il dibattito politico in questi giorni. “Si tratterebbe di un intervento utilissimo in questa fase di crisi e doveroso dopo l’inquietante segnale dato dal governo con le vicende relative alla scarcerazione dei boss mafiosi e – conclude – alle dichiarazioni del pm Nino Di Matteo”.
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