Oggi ricorre l’anniversario dei 160 anni dall’Unità d’Italia. Un evento che avrebbe dovuto richiedere enormi celebrazioni a livello nazionale ma che invece nessuno si sta calcolando così come in generale nessuno si calcola ogni anno che il 17 marzo sopraggiunge.
Il primo motivo è che una Nazione festeggia il suo compleanno quando ama il fatto di essere tale. E di vero sentimento patriottico in Italia c’è ben poca traccia. E non mi riferisco solo al fatto, emblematico ma superficiale, che fino a pochi anni fa chiunque esibisse un tricolore o cantasse l’inno di Mameli, seppur all’inizio di una partita di calcio, veniva tacciato di fascismo. Ma piuttosto al fatto che la Patria matura in un contesto di esercizio di sovranità con il quale si sceglie il destino da costruirsi e questa sovranità – è l’amara verità – l’Italia a oggi non ce l’ha.
Non ce l’ha per tanti motivi che non è scopo di questo mio intervento ricordare. Ma che sono tutti collegati ad un’unica amara verità: il fatto che l’Italia, dopo 160 anni, non sia ancora unita.
Il nostro Paese oggi è spaccato in due:
RICCHI CONTRO POVERI con un indice di disuguaglianza economica tra i peggiori d’Europa che rende impossibile creare una vera coesione sociale che crei un’armonia tra tutte le categorie facendole sentire parti egualmente indispensabili e complementare del progetto nazionale;
DESTRA CONTRO SINISTRA senza neppure uno straccio di visione geopolitica sul ruolo internazionale da dare all’Italia che possa fare da minimo comune denominatore per le differenti parti politiche, che dovrebbero dibattere su come portare avanti efficacemente questa visione, non incrostarsi in sterili partigianerie a prescindere;
NORD CONTRO SUD con il primo che, accontentandosi di fare da supply chain della catena del valore tedesco rischia di diventare sempre più la manovalanza a basso costo della Germania e il secondo che, sprofondando sempre di più nella povertà e nell’arretratezza, rischia di restare tagliato fuori dall’Europa e diventare Africa.
Invece che festeggiare, dunque, la politica è ora che si rimbocchi le maniche e recuperi il tempo perso per unire per davvero l’Italia, partendo da cinque iniziative non esaustive ma a mio avviso fondamentali per costruire davvero un’Italia che possa essere unita e considerarsi non solo Nazione ma anche Patria:
Sfruttare il Recovery Fund per investire nello sviluppo infrastrutturale del Sud così da renderlo in grado di crescere autonomamente e collegarlo al resto del Paese affinchè finalmente ci possa essere una comunicazione, un’interscambio, una cooperazione e un coinvolgimento di tutti i nostri territori nel progetto nazionale ed europeo;
Adottare una politica estera che faccia asse con i paesi dell’Europa latina per accrescere l’importanza strategica dello Stivale nel Mediterraneo e acquisire in questo modo una rilevanza nelle dinamiche europee e internazionali;
Proteggere quelle piccole e medie imprese la cui eccellenza costituisce quel Made In Italy che è un marchio di valore riconosciuto in tutto il mondo e rappresentano dunque l’unica possibilità che abbiamo per competere con Cina &Co.;
Ricostruire i rapporti con tutti coloro che hanno sangue italiano nelle vene ma che causa emigrazione vivono nel resto del globo affinchè si sentano parte del nostro destino e diventino vettore della promozione dell’Italia nel mondo;
Valorizzare le nostre identità millenarie e affinchè il nostro immenso e variegato patrimonio storico/culturale diventi finalmente uno strumento di influenza e soft power in grado di far pesare il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale.
Altrimenti in un futuro molto più breve di quanto si possa pensare il 17 marzo, più che una celebrazione della fiamma ardente della nostra identità nazionale, diverrà una giornata di commemorazione delle sue ceneri.
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