Negli ultimi giorni sul Corriere della Sera e su Il Foglio sono apparsi editoriali che chiedevano a Milano di tornare al centro della politica italiana. Galli della Loggia, in particolare, ne evocava il ruolo storico di – udite udite – capitale italiana dell’antipolitica, intesa come contrapposizione al potere e al metodo “romano”.
Milano è l’unico laboratorio politico d’Italia, questo è palese. Ed è per questo che deve essere utilizzata. Cinque anni fa lo ha fatto in modo egregio la sinistra, facendo partire dal “fenomeno Pisapia” un ribaltamento degli equilibri politici nazionali. Cinque anni dopo, lo hanno fatto Renzi e Berlusconi presentando la sfida Sala-Parisi, a detta di molti anticamera di quel famigerato Partito della Nazione che ora sta costringendo Salvini a dover tornare a ragionare in termini di centrodestra per evitare che si realizzi.
All’appello però manca quella che in gergo popolare viene definita la “destra”, direte voi. Che anzi in realtà proprio a Milano ha il suo stato di salute peggiore, vista l’inattesa battuta d’arresto della Lega e la sparizione dal consiglio comunale di Fratelli d’Italia.
Vero, ma fino a un certo punto. Perché in realtà è proprio da Milano che è giunta un paio di anni fa l’unica vera novità politica “a destra” dell’ultimo decennio: Matteo Salvini. E non solo perché ne è stata la sede della sua gavetta, ma soprattutto perché è stato il luogo dove ha aperto a intellettuali e realtà esterne al movimento (vedasi i dibattiti pubblici organizzati da Il Talebano), spianando la strada verso un elettorato con il quale la Lega fino a quel momento non aveva rapporti. Ed è da Milano che Salvini ha deciso di destinare a una svolta nazionale il suo Carroccio. E anche se oggi molti giudicano questa svolta ormai arenata, resta il fatto che dei primi importanti mattoni sono stati posati e Salvini ha il merito di avere avuto il coraggio di porli.
Fratelli d’Italia è invece tutta un’altra questione. Perché referente di una decina di milioni di elettori italiani lo era, grazie a un’eredità importante che le forniva un radicamento indiscusso nel panorama politico nazionale, ma questo patrimonio se lo è fumato. Condannandosi all’irrilevanza elettorale odierna che nel flop di Milano ha il suo culmine clamoroso. E ora all’interno – racconta Affaritaliani – sembra partita la sfida per rottamare la classe dirigente.
Ben venga. Perché Milano deve oggi tornare a essere laboratorio politico. Perché là fuori ci sono appunto una decina di milioni di elettori che di indole “di destra”, leghisti o aennini o conservatori che siano, che votano 5 Stelle per disperazione, in attesa che si proponga loro un progetto politico concreto, succulento e soprattutto compatto. E che non vogliono vederlo sbeffeggiato dalle dichiarazioni del Parisi di turno e neppure rappresentato dagli ormai triti e ritriti dinosauri della politica.
I milanesi, piaccia o no, sbadigliano a vedere ancora oggi in giro i faccioni di De Corato e La Russa. Sono troppo vecchi per potersi inventare il futuro. E’ come chiedere al proprio nonno di inventare l’evoluzione di uno smartphone, quando neppure sa che cosa sia uno smartphone. Diano piuttosto spazio a persone come Fidanza, che hanno l’età e i contenuti per rendersi conto che serve qualcosa di nuovo e che sia in supporto a Salvini, oggi unico leader possibile per questo mondo.
Dopo la batosta delle ultime amministrative, Milano è il terreno giusto per sperimentare. L’Italicum lo impone. Salvini ne ha bisogno. Fratelli d’Italia ne è obbligata. La gente lo chiede. Il Talebano lo promuove ormai da anni.
(pubblicato su affaritaliani.it)
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