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  • vincenzosofo

COME IL POPOLO DEVE GIUDICARE MARCHIONNE

Molti ieri hanno dipinto Marchionne come il male assoluto. E in effetti – per farla in estrema sintesi – ecco che cosa è oggi la FIAT: non più una grande azienda italiana ma una multinazionale con quartier generale negli Usa, ragione sociale in Olanda e che paga le tasse in Gran Bretagna.

Si tratta dunque di un’azienda che dagli anni ’70 a oggi ha ricevuto dallo Stato italiano qualcosa come 8 miliardi di euro (ammortizzatori sociali esclusi) che fondamentalmente ha utilizzato per delocalizzare ed esportare altrove i benefici per il territorio (vedi gettito fiscale). Prova ne è l’impietoso declino del numero di lavoratori impiegati da Fiat sul territorio italiano: nel 2000 erano 120 mila, oggi sono 29 mila.

Ma il problema non è Marchionne, che ha svolto brillantemente il compito che il suo datore di lavoro gli aveva affidato: massimizzare i profitti dell’azienda. E si potrebbe discutere ore sul fatto che secondo tale ragionamento se il tuo datore di lavoro ti dice di far ammazzare una persona e tu lo fai a costo zero, anche in questo caso sei un buon manager. Ma la verità è che il sistema odierno vuole gente così e il sistema universitario in primis forma gente così, priva di etica e con il solo scopo del profitto.

Il problema non è neppure Fiat, che – sempre per la logica appena citata – non ha fatto altro che sfruttare la possibilità che il sistema gli ha offerto grazie a un’impianto sociale-politico-economico di stampo sempre più ultraliberista che consente a una multinazionale di drenare risorse da un territorio per il raggiungimento del proprio fine individuale senza doversi poi preoccupare né di dare un ritorno al territorio stesso, nè addirittura di evitare che la sua azione abbia un impatto negativo su di esso.

Il punto è: chiunque tendenzialmente, se può permettersi di farlo, cerca di portare avanti il proprio interesse egoistico più che può e fregandosene del resto. E’ il motivo per cui in una civiltà esiste l’educazione ed esiste la morale e, in ultima istanza, esiste la legge. Per porre a questo interesse egoistico un limite e inquadrare lo sviluppo dell’individuo nel quadro dello sviluppo della comunità, per far sì che tutti possano crescere e che questa crescita avvenga in armonia.

Se questo non è avvenuto, non è colpa nè di Marchionne nè di Fiat nè di chi approfitta dello spazio che viene concesso: è colpa della politica che ha abdicato al principio della superiorità del benessere della comunità sulla libertà egoistica, facendosi fregare dallo spauracchio del “dirigismo”.

La storia di Fiat e di Marchionne siano lezione non per maledire un uomo in punto di morte bensì per avviare tre azioni necessarie per il rilancio dell’Italia:

  1. la formazione di una classe dirigente/manageriale che abbia come prima missione l’interesse nazionale;

  2. l’affermazione di una politica industriale che obblighi chi attinge dal nostro territorio a contribuire allo sviluppo del territorio;

  3. la ricostruzione di un impianto di leggi sociali che eviti che il destino della nostra collettività sia preda della bramosia di chi deve massimizzare i profitti.

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