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IL “FENOMENO” TALEBANO SPIEGATO A IL GIORNALE

Di seguito l’intervista che Il Giornale mi ha fatto sul “fenomeno” de Il Talebano.

Vincenzo Sofo, calabrese nel sangue e padano d’adozione, nel 2009 viene eletto consigliere di zona tra le file della Lega. Fonda poi il think tank “Il Talebano”. Il suo obiettivo? “Contribuire al percorso della Lega e in generale della politica in senso sempre più votato alla valorizzazione dei concetti sociali di identità e comunità, ponendo l’accento sull’importanza dei giovani e degli intellettuali nella costruzione di un progetto per il Paese“. Non contento è tra gli ideatori del laboratorio delle “Mille Patrie per l’Italia”, che ha lo scopo di “creare una rete di gruppi e movimenti che – da Nord a Sud – cooperino per promuovere iniziative politiche e culturali, per dare l’esempio di una politica che parta dal territorio e dalle idee invece che da palazzi e poltrone“.

Che cos’è e come è nato “Il Talebano”?

È un think tank, nato per portare all’interno della Lega Nord nuovi temi e nuovi punti di vista rispetto a quelli più tradizionali, per ampliare i punti di riferimento culturali e creare un dialogo con tutte le forze identitarie esistenti fuori dal Carroccio. Esperimento direi molto riuscito, se si pensa che da Il Talebano sono nati i confronti pubblici tra Salvini e intellettuali come Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Fini e Alain De Benoist, tutte icone di ambienti politici fino a quel momento estranei alla Lega.

Perché avete scelto questo nome?

Per provocazione, ispirati dagli articoli di Massimo Fini, uno dei nostri riferimenti culturali, ai tempi della guerra dell’Occidente all’Afghanistan: tutti i media usavano questo nome per indicare il male assoluto che giustificasse tutte le guerre volute dagli Stati Uniti in quelle zone e nascondesse i veri intenti geopolitici ed economici. Guerre che hanno causato il dramma della cosiddetta invasione immigratoria che l’Italia sta subendo in questo periodo. Abbiamo scelto questo nome proprio per sottolineare la necessità di stare dalla parte di chi difende la propria terra e non di chi distrugge popoli e paesi in nome del denaro.

Quali sono le iniziative organizzate da “Il Talebano”?

Siamo piuttosto eclettici: cerchiamo di unire l’aspetto più culturale a quello più politico, organizzando dibattiti ma anche azioni provocatorie come il tentato rapimento dei Bronzi di Riace per portarli a Expo o la consegna della bara della cultura all’ex ministro Bray per protesta contro un decreto che ammazzava lo sviluppo delle culture dei territori a favore delle solite lobbies. Ma lavoriamo anche alla costruzione di laboratori politici, come abbiamo fatto lanciando lo scorso febbraio a Roma con Salvini la rete identitaria nazionale di ‘Mille Patrie’. Tutte iniziative che hanno un comune denominatore: la difesa dell’identità di un popolo, collante indispensabile per formare una comunità sana e vivere in una società che funzioni. Un lavoro di contenuti egregiamente svolto dal nostro “curatore” culturale Fabrizio Fratus, che sta facendo de Il Talebano un riferimento ideologico per tantissime persone e un interlocutore costante per molte associazioni e realtà organizzate.

Tra le vostre battaglie, quella che ricorre più spesso è quella contro la teoria del gender. Perché?

Abbiamo dato il via in Lega alla battaglia in difesa della famiglia naturale perché è il perno fondamentale di una comunità e dunque della società, come spiega Aristotele. Perciò è importante non sottovalutare la campagna avviata dai ‘sindacati’ LGBT, che pur rappresentando solo una piccolissima parte del mondo omosessuale, lo strumentalizzano per abbattere il più importante punto di riferimento per una persona. L’ideologia Gender rappresenta l’apice di questo percorso devastante: raccontando che il genere sessuale di appartenenza non è una condizione naturale ma una decisione che ti viene imposta e che puoi cambiare se non ti piace, punta a distruggere anche l’ultima certezza di un individuo, ossia se è uomo o donna. Motivo per cui siamo felicissimi che la Lega Nord sia scesa in campo in modo così deciso, come dimostrano le iniziative messe in atto in Regione Lombardia da Maroni e dall’assessore Cappellini.

Quanto ha influito “Il Talebano” nella creazione della Lega 2.0 di Matteo Salvini?

Questo andrebbe chiesto a Matteo. Certo è che molte delle nostre idee sono state condivise dal “Capitano” e la fiducia che ci ha sempre dato è per me motivo di orgoglio, perché da sempre puntiamo moltissimo sulla preparazione delle nostre persone ma soprattutto perché il nostro è un circolo fatto tutto da under 35 e sappiamo quanto nel nostro Paese sia raro trovare un leader politico così propenso nei fatti ad affidarsi ai giovani. Salvini è stato capace di farlo, con noi così come con molti dei suoi collaboratori, e i risultati lo stanno premiando: ha rivitalizzato un movimento dato per spacciato e lo ha fatto diventare un punto di riferimento nazionale.

Eppure all’interno c’è chi accusa Salvini di non avere un progetto politico chiaro, soprattutto al Sud. Il Talebano che tipo di Lega vuole?

Noi siamo per un modello di società basato sulla comunità e sulla sua autodeterminazione. Siamo per un’Europa che sia espressione delle identità dei popoli e non delle imposizioni della finanza. La Lega è un movimento che fa del legame con i territori e con le proprie tradizioni la sua missione, dialogando in Europa con Marine Le Pen e nel mondo Vladimir Putin, sperimentando in Regione Lombardia misure come la moneta complementare e il reddito di autonomia: questa Lega ci piace. Sul Sud il discorso è diverso: Noi con Salvini non ha alle spalle una radice culturale e ideologica, come invece ha la Lega, dunque per riuscire ad accreditarsi in quelle terre come portatore della visione leghista deve stare attenta a saperne assimilare lo spirito. Salvini sta conquistando così tanti consensi perché la gente vede in lui ciò che i francesi vedono nella leader del Front National e gli europei (e non solo) vedono nel leader russo: una ricetta nuova e completamente diversa rispetto a quella ultraliberista dei Renzi, dei Monti, della Merkel e di Obama. E la gente del Sud guarda con speranza a Salvini, nonostante sia leghista, perché vede in lui la possibilità di sbarazzarsi dei vecchi politicanti locali e di affidarsi a gente nuova, giovane e fresca. Le sorti di Noi con Salvini dipenderanno dalla capacità di incarnare questi sentimenti, con esponenti che vengano visti come reincarnazioni meridionali del “Matteo giusto”.

Quali sono i suoi progetti futuri, soprattutto in vista delle Comunali di Milano?

Noi siamo a disposizione di Salvini. Milano è la nostra città e abbiamo tutte le intenzioni di dire la nostra su che cosa farne da qui ai prossimi cinque anni: il dopo Expo consegna infatti al capoluogo lombardo l’opportunità di diventare la metropoli traino d’Europa, come è stato prima per Barcellona, Berlino e Londra. Occasione che non deve scappare, perciò serve una visione saggia di sviluppo, che non consideri solo i salotti della Milano bene ma tutta la città, risollevando le periferie attualmente in stato di abbandono per farne dei centri di vita, nell’ottica di una crescita complessiva e non a monopolio esclusivo del centro. Noi vogliamo entrare in questo dibattito con le nostre idee e proposte; in che modo, lo valuteremo con il movimento. Intanto continuiamo a lavorare nei nostri quartieri, dove io e Caterina Marchiando da consiglieri di zona stiamo lavorando su diversi fronti: dalla lotta alla diffusione del gender nelle scuole e nelle biblioteche fino a progetti di riqualificazione urbana delle periferie attraverso l’arte.

Matteo Carnieletto

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