Qualche giorno fa il ministro dell’Economia Tria ha giustamente rivendicato il ruolo benefico dell’investimento pubblico per il rilancio dell’Italia. Tuttavia perchè questo funzioni è necessario che venga concentrata su ambiti strategici e “fertili”, cioè capaci di avviare una macchina che poi sia capace di camminare da sola producendo ricchezza.
Uno dei compiti più delicati di questo governo sarà dunque individuare su quali settori l’Italia deve investire per rilanciarsi.
In quest’ottica la politica nostrana ha sempre visto la cultura come l’ultimo degli ambiti amministrativi dei quali occuparsi, lasciandole la fetta più piccola dei bilanci delle amministrazioni e sacrificandola per prima di fronte ai tagli di risorse. Ciò anche in virtù della vecchia vulgata per la quale “con la cultura non si mangia”.
Ciò nonostante l’Italia sia la nazione con più patrimoni UNESCO e sia una delle nazioni la cui cultura fa più tendenza nel mondo. Caratteristiche che invece rendono la cultura italiana uno strumento interessante in termini geopolitici: investire sulla propria identità e propagandare all’esterno il peso della nostra storia consente di affermare la rilevanza del nostro paese sul piano internazionale. Ma i nostri governi non ne hanno mai fatto uso.
Ciò mentre – ad esempio – per gli Usa la cultura è stata una delle armi principali per l’affermazione il proprio dominio nel mondo, grazie all’utilizzo dei canali del cinema, della musica e dell’arte per propagandare all’esterno la straordinarietà di questa nazione e del suo ruolo di supereroe che ci difende dai nemici (pensate, tanto per citarne uno, a Rambo).
Ma, sofisticati ragionamenti strategici a parte, al contrario di quanto si dice la cultura italiana è anche un notevole traino economico per la nostra nazione: nel 2017 il sistema culturale italiano ha prodotto il 6% della ricchezza nazionale, pari a 92 miliardi di euro, con un aumento del 2% rispetto all’anno scorso. Questi 92 miliardi hanno stimolato la produzione di ulteriori 163 miliardi in altri settori – turismo in primis – contribuendo per il 16,6% al valore aggiunto complessivo del paese (fonte: rapporto Io Sono Cultura 2018). Ciò grazie all’effetto moltiplicatore di cui è capace questo settore, per cui da ogni euro prodotto dalla cultura si attivano 1,8 euro in altri settori.
Se vogliamo valutarla da un punto di vista strettamente lavorativo, anche qui la Cultura si dimostra un’ottima leva dando occupazione a più di 1,5 milioni di persone, cioè al 6,1% del totale dei lavoratori in Italia. Dato anche esso in crescita: +1,6%, addirittura superiore alla “crescita”complessiva (+1,1%).
Una leva che sarebbe fondamentale per un Sud che sta vivendo una fase di deprimente spopolamento per mancanza di opportunità lavorative e che tuttavia dispone di un patrimonio naturale, culturale e storico capace di renderlo tra i punti di riferimento del turismo internazionale. E che per il Nord già si sta dimostrando traino fondamentale per la crescita dei territori, come dimostrano i dati su Milano dove il 10% della produzione di ricchezza e lavoro è merito dell’attività culturale.
Eppure, nonostante la cultura produca quasi il 17% del Pil nazionale, l’Italia per la cultura investe un misero 0,7% di questo Pil.
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