Quando nel 2013 Alfano lasciò Berlusconi, su Il Talebano offrimmo una spiegazione molto diversa da quella proposta dall’opinione prevalente: si trattava dell’inizio di un percorso “occulto” finalizzato alla costruzione di un nuovo grande partito di centro che potesse monopolizzare la politica italiana.
Da allora facemmo notare come tutte le dinamiche politiche/partitiche degli ultimi 4-5 anni andassero in quella direzione, motivo per cui esortammo la destra a compattarsi attorno all’unica figura capace di fare da argine a questa deriva: Matteo Salvini.
Le elezioni del 4 marzo sono state la dimostrazione di questa tesi: il voto a Salvini era l’unico voto utile possibile per la destra, in quanto un ottimo risultato della Lega avrebbe impedito a Berlusconi di ottenere un numero di eletti sufficiente per realizzare la grande coalizione di governo con Renzi, anticamera di una balena bianca egemone.
Il risultato delle urne ha sancito il passaggio a una nuova era della politica italiana: i pilastri non sono più Forza Italia e Pd ma i due partiti che fino a ieri venivano tenuti ai margini, Lega e 5 Stelle. Con conseguente fine dello schema bipolare: centrodestra contro centrosinistra. Una dicotomia già ultimamente in crisi a causa dell’avvento di Grillo e soci, tuttavia trattati da terzo incomodo (l’anomalia del meccanismo) lasciando così i due poli come punto di riferimento strutturali.
Il cambio dei protagonisti (Salvini vs Di Maio invece che Berlusconi vs Renzi) è infatti più di una semplice sostituzione di attori dentro uno stesso schema di gioco, bensì la creazione di uno schema nuovo. Da una parte Salvini ha irrimediabilmente drenato a Berlusconi un pezzo di elettorato ed è questo un fatto che difficilmente il secondo potrà tollerare accettando di fare il sottoposto del primo. Dall’altra parte, il 5 Stelle ha irrimediabilmente drenato voti al Pd ed è questo un fatto che difficilmente il secondo potrà tollerare accettando di fare il socio di minoranza del primo. Anche perché pare che Berlusconi e Renzi pare non abbiano la minima intenzione di mollare il loro progetto.
A destra ora si comincia a parlare di partito unico. Soluzione promossa da una fetta di Forza Italia che – vedendo esaurita la forza propulsiva dell’ex Cav – vuole trovare una nuova prospettiva e che vede in Salvini l’unico in grado di mettere oggi sotto lo stesso tetto la parte destra del Paese. E soprattutto di fare in modo che questa casa traini un bel blocco di elettorato.
A sinistra nel mentre si discute sull’opportunità o meno di collaborare con il 5 Stelle. Che su certe cose si sono dimostrati più di sinistra della nuova “sinistra” e che perciò iniziano a essere ben guardati dalla parte più di sinistra della “sinistra”. Una sinistra che però è improbabile sia rappresentata dal personaggio stile democristiano Di Maio e che invece sarebbe molto ben incarnata dal personaggio stile rivoluzionario chic Di Battista. Che, guarda caso, a sto giro se ne è stato fuori quasi per correre in soccorso dopo.
Poi ci sono i centristi di Forza Italia e i centristi del Pd. Che non ci pensano neanche a sposare le linee rispettivamente leghista e pentastellata e che vogliono invece tornare a essere spavaldamente quello che sono: democristiani. Solo che qui c’è un problema di leader: l’operazione Monti non è riuscita, Renzi si è autodistrutto e Berlusconi non è riuscito a riesumarsi. E senza una figura di sintesi, il progetto non può partire. Il centro cerca uno alla Calenda: che può essere di centrodestra così come di centrosinistra. Che piace all’Europa. Che sia elettoralmente immacolato o perlomeno non usurato. E che, nel caso di Calenda, dopo aver promosso la formazione del partito +Europa della Bonino e incassato apprezzamenti da Silvio, ora si è fatto la tessera – a tempo determinato – del Pd.
Dopodichè l’anomalia del bipolarismo e quella dello strano-tripolarismo potrebbero dirsi concluse e l’Italia potrebbe tornare al suo modello originario, quello più confacente alla sua natura: destra, centro, sinistra. Termini che oggi non vorranno più dire nulla in termini di contenuti ma che restano sempre punti cardinali nello schema degli schieramenti.
(Scritto per Affaritaliani)
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