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  • vincenzosofo

RIPORTARE A GALLA I DIALETTI PER COSTRUIRE UN’ITALIA DEI POPOLI

E’ evidente che l’Italia così com’è non sia riuscita ancora a darsi un’identità ed è altresì evidente che però un’identità a quest’Italia va trovata. E per farlo non c’è nulla di più semplice che guardare alla storia e alla cultura del nostro Paese. Questa storia è fatta di mille storie, di mille percorsi diversi consolidatisi nei secoli a casa delle diverse dominazioni straniere e a causa della lunga stagione dei Comuni.

Da questa storia è nato il celebre campanilismo italiano, termine che collegato all’accezione di Italia come “Paese dei mille campanili”: ogni campanile corrisponde a un comune e ogni comune corrisponde a una comunità, con i suoi usi e i suoi costumi. La diversità di queste identità nei vari territori della penisola costituiscono quella ricchezza culturale che tutto il mondo ci vanta e che tutto il mondo viene a visitare. E’ il fascino dell’Italia ed è un fascino che inspiegabilmente la politica sta annientando, non capendo che da questo fascino – se valorizzato – possono dipendere anche le fortune economiche della nostra terra. Per rendersene conto, basta pensare al turismo.

Questi patrimoni identitari sono racchiusi tutti nei cosiddetti dialetti. Le lingue locali, quelle spontaneamente nate e sviluppate dal basso (a differenza dell’italiano che fu calato sui territori dall’alto) sono frutto del mix di storie aneddoti pratiche usanze e credenze che nei vari territori esistevano. Le lingue locali sono gli scrigni che custodiscono i tesori di un territorio e di una comunità di persone. Motivo per cui anche l’Unesco ne riconosce il valore inestimabile e ne evidenzia il pericolo derivante dal rischio d’estinzione.

Eppure lo Stato italiano, salvo alcuni casi, nega il valore di queste lingue. E questo diniego  deve essere motivo di battaglia per qualunque movimento politico che si definisce identitario. Una battaglia culturale per il riconoscimento dell’identità dei popoli che compongono l’Italia perché soltanto attraverso la valorizzazione di questi popoli si può pensare di avere una vera Italia. Perché in Italia, a differenza di altri Paesi, un milanese è prima milanese e poi lombardo e poi italiano. Non certo il contrario. E anche un catanese è prima catanese e poi siciliano e poi italiano. E dunque nell’esaltazione di queste diversità si trova, sembra un paradosso, il punto in comune tra Nord Centro e Sud.

La Regione Lombardia ha deciso di lanciare questa sfida. L’Assessore alle Culture Cappellini (già nota per aver lanciato in Italia la crociata pro-famiglia della Regione contro il governo) ha appena fatto una riforma delle politiche che introduce per legge la ricerca la tutela la valorizzazione e la diffusione della lingua lombarda sui territori. Quel che va fatto ora è replicare quest’azione in tutte le regioni per chiedere poi al governo nazionale di adeguarsi alle indicazioni dell’Unesco riconoscendo per legge tutti i “dialetti” dei territori italiani come lingue locali.

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