Quello che propongo di seguito è un estratto del mio articolo ‘La voie romaine’ per il numero 13 del magazine francese L’Incorrect, nel quale pongo ad esempio due ragioni (demgrafica ed economica) per le quali il sovranismo non può e non deve cadere nella trappola del nazionalismo ottocentesco ma deve mantenere una visione identitaria proiettata verso una dimensione europea. Soltanto un’Europa coesa e forte può infatti sperare di essere indipendente, evitando di divenire colonia altrui e cercando anzi di porsi come una delle quattro potenze che determineranno il futuro del panorama internazionale. Per far ciò serve un’Europa fatta di patrie sovrane libere di autodeterminare le proprie politiche interne ma attive nel cooperare per costruire una politica internazionale comune. Ed è in questo senso il sovranismo leghista, fortemente identitario e patriottico ma libero da deviazioni nazionaliste, a rappresenta in Europa il percorso migliore.
Le sanzioni contro l’Ungheria votate dal Parlamento Europeo e l’invio di ispettori in Italia da parte dell’ONU rappresentano un punto di svolta determinante nella storia dell’Unione Europea: la presa di coscienza da parte dell’establishment internazionale del fatto che il sovranismo non sia più solo una scomoda opposizione ma che ora sia diventato una concreta alternativa di governo che rischia seriamente di sottrarle la guida dell’Europa, con ricadute pesanti sul suo futuro.
Il sovranismo ha infatti alla base della sua azione il concetto di sovranità nazionale in opposizione alla regia sovranazionale alla quale siamo abituati. Rivendica cioè il principio di autodeterminazione della propria politica da parte di una Nazione e collega questa richiesta alla necessità di condurre politiche che abbiano come bussola l’interesse di questa Nazione. Ne esce dunque un ribaltamento di logica: è la sovrastruttura europea a doversi adeguare alle istanze dei territori e non viceversa, come accaduto finora.
Un ribaltamento che sollecita la domanda sulla necessità o meno dell’esistenza di questa sovrastruttura e che può solleticare un desiderio di ritorno a una logica di Stati nazionali che si muovano ognuno per i fatti loro che tuttavia sarebbe errato.
Il nuovo millennio ci consegna infatti un panorama internazionale molto cambiato rispetto al secolo scorso: l’Europa oggi non è più il centro del mondo. Demograficamente parlando, nel 1950 l’Europa aveva circa 550 milioni di abitanti, l’America del Nord 172 milioni, l’Africa 228 milioni, l’Asia 1,4 miliardi. Nel 2050 secondo le proiezioni l’Europa ne avrà 706 milioni, l’America del Nord 392 milioni, l’Africa 2,47 miliardi, l’Asia 5,26 miliardi. Guardando ai singoli Stati nazionali, avremo Cina e India con una popolazione di circa 1,5 miliardi di persone, gli USA con quasi 400 milioni e un altra quindicina di paesi con oltre 100 milioni di abitanti ma senza nessuno Stato europeo tra di essi.
Dal punto di vista economico le cose sono altrettanto eloquenti: nel 1975 le sei nazioni più industrializzate al mondo erano Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Inghilterra e Italia (al quale poi si aggiunsero Canada e Russia). La fotografia scattata da un recente studio di Pwc su presente e futuro è invece molto diversa: nel 2016 la graduatoria della ricchezza a parità di potere d’acquisto metteva in testa Cina, Usa e India, e le uniche nazioni UE presenti nella top 10 erano Germania (quinta) e Francia (decima), con poi l’Italia dodicesima. La proiezione al 2050 invece vede come unico Paese UE nella top ten la Germania (nona), con Francia dodicesima e Italia ventunesima.
Dunque, economicamente e demograficamente, gli altri continenti stanno prendendo decisamente il sopravvento sull’Europa. E ciò non significa soltanto che ci sono Stati extraeuropei (vedi Usa, Russia, Cina, India) con i quali nessuno Stato europeo riuscirebbe a competere, bensì che l’unica entità europea che può pensare di competere con essi è l’Europa presa per intero.
Una prospettiva che ha ben compreso la Germania, la quale ha dunque lavorato al progetto europeo attuale – tralasciando ogni excursus storico – concependolo come un suo spazio di influenza per avere maggior peso in questa competizione internazionale; non è un caso che nella fotografia economia sopra menzionata la Germania sia l’unico Stato europeo a contenere la riduzione del suo peso specifico. Il problema è che questa unicità la Germania l’ha raggiunta a spese degli altri Paesi UE, ad esempio trasformando l’Europa dell’Est in una sua piattaforma industriale, occupando il comando delle istituzioni europee e imponendo un surplus commerciale ben al di sopra del limite del 6% previsto dai Trattati europei.
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