Il grande avvenimento politico di questi giorni, ancor più che i fatti di Capitol Hill, riguarda la scelta dei colossi del web di censurare gli account social di Trump e di altri opinionisti e politici a lui vicini nonché di ostacolare l’accesso a piattaforme alternative considerate amiche di questo ambiente politico, iniziativa che ha aperto improvvisamente gli occhi sul ruolo che i social network hanno nel dibattito socio-politico, nell’informazione e nella formazione dell’opinione pubblica.
Il tema della lotta alla diffusione delle fake news è infatti una fin troppo palese scusa dietro la quale si cela uno scenario ben più serio che va oltre la faida Biden-Trump. Anche se da qui bisogna partire per comprendere che cosa sta accadendo.
Laddove infatti non esiste il finanziamento pubblico ai partiti, vedi USA, la politica finisce inevitabilmente nelle mani delle lobby. Che, nel caso dei giganti del web, non è un mistero che abbiano massicciamente finanziato la campagna elettorale di Biden il quale ora sarà altrettanto inevitabilmente costretto a seguire un’agenda a loro gradita, tanto che già i suoi staff si stanno riempendo di funzionari provenienti da queste aziende.
Questa vendetta delle Big Tech, prima finanziando Biden e ora limitando a Trump e ai suoi sostenitori l’accesso alle loro piattaforme, va letta nel quadro dell’azione che l’amministrazione dell’ex presidente ha intrapreso contro lo strapotere di queste multinazionali. Se da una parte infatti Trump stesso si era schierato in difesa dei cosiddetti GAFA rispetto all’intenzione dell’UE di introdurre delle imposte ad hoc per limitarne l’elusione fiscale, dall’altra l’Antitrust americano ha avviato su di esse delle inchieste per condotta anti-concorrenziale.
E qui emerge il vero problema da affrontare relativo ai colossi del web: il fatto che stiano diventando e stiano iniziando a comportarsi come dei veri e propri ‘Stati digitali’ che, dopo aver sottratto agli Stati nazionali la popolazione (ormai ognuno di noi è diventato abitante, oltre che del proprio paese, anche di Facebook, di Instagram etc. e i nostri profili social ci sono altrettanto cari che la carta d’identità), ha iniziato a sottrarne i poteri e gli strumenti della vita democratica… Emanano leggi e costituzioni, regolano l’informazione, giudicano i comportamenti, eseguono azioni e punizioni. E il mondo vero è ormai talmente interconnesso e dipendente dal virtuale che la sentenza di Facebook o Twitter ha una conseguenza seria e concreta sulla vita quotidiana di tutti noi (la sospensione di un profilo social per moltissimi significa impossibilità di comunicare, dunque di lavorare, dunque di guadagnare).
L’economia digitale ha già raggiunto così l’obiettivo di porsi fuori da ogni forma di regolamentazione giuridica degli ordinamenti nazionali, un battitore libero che opera in un mercato che non si sottopone alle forme contrattuali dei vari paesi e dei loro rispettivi regimi fiscali. Non è un caso la scelta del colossal Facebook di lanciare nel mese di giugno del 2019 la sua moneta virtuale, la “Libra”, una criptovaluta mediante la quale si potrà trasferire il denaro nel mondo virtuale attraverso i canali a sua disposizione (WhatsApp, Instagram e Messenger). Un progetto che vede l’accordo tra il patron Zuckerberg e i colossi come Mastercard, PayPal, Uber e Visa. Ora lo step successivo è quello di digitalizzare la politica e gli stati così da velocizzare il processo e dare il colpo di grazia alle già deboli sovranità nazionali.
Quel che nessuno sta capendo è che della vicenda Trump i colossi del web stanno in realtà approfittando per mandare un messaggio forte e chiaro alla politica e ai governi tutti, per dire: occhio che la vostra esistenza politica è nelle nostre mani, dunque non ostacolate i nostri profitti o rischiate di fare la fine di Trump.
Un messaggio che invece pare abbiano subito compreso Francia e Germania, i cui governi – nonostante Merkel e Macron siano distanti anni luce da Trump – hanno espresso critiche e preoccupazione rispetto all’opera di censura di Twitter, Facebook etc. Francia e Germania che, guarda caso, sono impegnate in un tentativo di introdurre una web tax europea.
Mentre il dibattito politico europeo si anima attorno allo scontro tra nazionalisti ed europeisti, la vera guerra che si profila all’orizzonte nella contesa della sovranità sarà in realtà contro gli Stati digitali. E per combatterla ci sarà per forza di cose bisogno dell’Europa. Ma dell’Europa giusta.
Vincenzo Sofo e Domenico Barbaro
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